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«Noto che continuano ad arrivare al territorio tarantino molti consigli su come dovrebbe essere gestita la vicenda Ilva. In molti si affrettano a suggerire alle Istituzioni locali di abbandonare posizioni definite “oltranziste” e, leggo in un articolo del prof. Federico Pirro pubblicato in questi giorni su formiche.net, di assecondare il lavoro del Governo per evitare, fra l’altro, dopo l’emergenza COVID-19, di “andare incontro ad un’altra catastrofe, questa volta epocale, causabile dalla dismissione dell’intero impianto” che la cittadinanza con ogni probabilità non vorrebbe affrontare».
Luigi Sportelli interviene nuovamente su Ilva e sulle reazioni alla posizione sottoscritta dalla Camera di commercio, insieme al Sindaco del Comune di Taranto, ai Sindaci degli altri Comuni dell’area di crisi industriale complessa e dal Presidente della Provincia.

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“Il territorio ionico pretende finalmente normalità e certezze”

«Sorvolo sull’uso che spero iperbolico, ma di certo trovo irrispettoso, di tali comparazioni – rimarca Sportelli: molto viva è la ferita che il virus ha inflitto al Paese e altrettanto lo è la scena apocalittica di interi quartieri (e persone) sommersi dalle polveri dello stabilimento nel 2020 come fossimo nel pieno della prima, e non già della quarta rivoluzione industriale. Ma capisco che forse non è ancora abbastanza chiara la nostra posizione: il territorio pretende finalmente normalità e certezze nella salute, nell’impresa e nel lavoro. Delle nostre istanze si discute solo in senso negativo, nessuno si è ad oggi degnato di confrontarsi realmente. Non ci si stupisca, quindi, se risulta necessario per noi iniziare ad asserire con crescente fermezza».

“Chi decide cosa è giusto?”

«Lo ribadisco nuovamente – prosegue Sportelli – a beneficio soprattutto di quanti pensano che le figure istituzionali locali possano essere delegittimate e dileggiate e, conseguentemente, messe a tacere: la vera partita che stiamo giocando è quella del processo decisorio. Chi deve stabilire cosa sia più giusto ed utile per Taranto? Il Governo da solo, una task force romana, gli “esperti” di strategie industriali che corrono in soccorso dell’interesse nazionale? Io vedo, dall’Osservatorio della Camera di commercio, imprese sempre più in crisi, migliaia di persone in cassa integrazione, impianti a fine vita, polveri sparse e vision opinabili.

Concentriamoci, ad esempio, proprio sulla strategia. Nella seduta della Camera dei Deputati del 1° luglio scorso, il Presidente del Consiglio, rispondendo ad una interrogazione relativa agli intendimenti del Governo in merito ad un piano di rilancio del comparto siderurgico, ha detto che l’obiettivo “è realizzare un piano strategico per la siderurgia, che definisca nel dettaglio il fabbisogno di acciaio nel nostro Paese”. Dunque questo piano non c’è, è di tutta evidenza ed è paradossale che si continui a parlare di Taranto in un contesto di politica industriale che di fatto non esiste. Chi, come noi, afferma che serve un cambiamento sostanziale di un modello di sviluppo obsoleto sarebbe irresponsabile ed estremista. Il messaggio è: “la soluzione ve la diamo noi, voi state buoni”. Purtroppo, però, le soluzioni fin qui offerte sono state tutte altrettanto disastrose e latrici di ulteriori problemi per questo territorio».

Bisogna ascoltare enti e istituzioni locali”

«Se il Governo ritiene che l’ingresso di Invitalia e la permanenza di ArcelorMittal, con annessi e connessi, sia la scelta migliore, è lecito che le Istituzioni e le forze sociali ed economiche del territorio esprimano su questo, anche preventivamente, la propria posizione, partecipino e confliggano se necessario, contribuiscano legittimamente con idee e proposte che rendano coerenti la riconversione del territorio (portata avanti, peraltro, da quello stesso Governo) con le decisioni sulla siderurgia? O siamo condannati all’appiattimento sulla solita promessa del “faremo convivere ambiente e lavoro”?

Ebbene – conclude il Presidente della Camera di commercio – quest’ultima prospettiva non solo non ci appartiene, ma è chiaramente sempre più lontana dall’esperienza democratica».

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