Le periferie di Taranto diventano protagoniste, attraverso gli scatti dell’artista tarantino Vito Leone, al “Festival fotografico europeo 2019 – L’immagine incontra il mondo, nelle stanze della fotografia”, in programma in varie località della Lombardia, fino al 28 aprile prossimo.
Il festival, alla sua ottava edizione, è ideato e curato dall’Afi-Archivio Fotografico Italiano, con sede Castellanza. Al castello di Masnago, a Varese, dal 23 marzo, sarà allestita la mostra fotografica “Periferie umane. Taranto, i paesaggi intorno alla fabbrica”, inserita nella rassegna “Abitare il paesaggio”. La fotografia affronta il tema del paesaggio, tra passato e presente, suggerendo una riflessione sulle dinamiche sociali dettate dal contesto di vita e di lavoro. Ne deriva un mosaico di esperienze, che dalle periferie giungono agli insediamenti industriali, mettendo al centro il tema della bellezza, spesso negata dalle circostanze. Il festival, che si compone di oltre quaranta mostre, seminari ed altri eventi, è posto sotto l’alto patrocinio del Parlamento Europeo, con il patrocinio della Provincia di Varese, di vari comuni lombardi, del Festival Européen de la Photo de Nu di Arles e la collaborazione di altri enti, tra cui l’Ordine degli Architetti della Provincia di Varese e l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano.
Nato e vissuto nel quartiere Tamburi di Taranto, Vito Leone è giornalista pubblicista e docente nella scuola secondaria di secondo grado. Nei suoi scatti, elabora il tentativo di conferire dignità alla periferia industriale, alle aree suburbane vicine allo stabilimento siderurgico. Le sue fotografie ritraggono i quartieri Tamburi, Paolo VI, Porta Napoli di Taranto, ma anche zone retroindustriali oggi abbandonate, ‘archeologia urbana’ dei decenni trascorsi, caratterizzati da una produzione massiccia e invasiva. L’occhio del fotografo, ‘vicino’ a questi ambienti, perché familiari, cerca di trasformare la brutalità degli stessi in bellezza. Al tempo stesso, la ricerca vuole essere un atto di denuncia della situazione ambientale e sociale della città ionica; un appello e una speranza, affinché la comunità non sia lasciata sola.
È un lavoro fotografico che corre su una doppia traccia. La prima, oggettiva, è quella delle linee e delle forme, del ‘senso geometrico’ del paesaggio, caro alla minimal art; l’altra, soggettiva, è quella filtrata dall’occhio umano, che in quegli scorci vede, pur nella loro desolazione, umanità e dignità. Una pietas che permette di caricare di vita e di pathos immagini che, altrimenti, sarebbero fotografie di morte.
Vito Leone ha partecipato a mostre, personali e collettive, in Italia e all’estero. E’ stato finalista al Sony World Photography Awards nel 2017. La sua ricerca fotografica è iniziata dal minimalismo, per giungere, oggi, ad una dimensione più antropologica, di indagine sull’uomo e sul paesaggio, seguendo l’esempio di Gabriele Basilico, della Neotopografia e della scuola tedesca dei coniugi Becher. Si tratta di un tipo di fotografia apparentemente fredda, priva della presenza umana, di cui si percepisce solo il passaggio o il ‘respiro’. Il risultato è uno studio comparato sulle forme geometriche, alla ricerca di una “grammatica” dello spazio. La funzione dell’atto fotografico diventa, dunque, riordinare il caos, svelare la bellezza dei luoghi marginali, capace di resistere alla violenza umana e rintracciare, nella sua forma, un nuovo ordine estetico ed ontologico, una coerenza sottesa alla vita, una speranza, un senso.