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Le uniche preoccupazioni di dicembre dovrebbero essere la scelta dei regali natalizi per i nostri cari ed il modo in cui trascorrere le vacanze in attesa del nuovo anno, ma per migliaia di famiglie del terriyorio ionico, lo scenario sembra tingersi di tinte ben più fosche di quelle a cui le strenne natalizie ci hanno abituato

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Confindustria Taranto: “Scenario critico”

Il rischio che si palesi, nel medio-breve periodo, una situazione analoga a quella di quattro/cinque anni fa c’è tutto, ed è il motivo per il quale le aziende dell’indotto ex Ilva di Taranto, aderenti a Confindustria, si stanno attrezzando per non rivivere un passaggio doloroso della loro vita professionale.” nella nota di Confindustria Taranto il riferimento è a quanto già si produsse a cavallo del 2014 e 2015, nel passaggio fra l’Ilva di Riva e Ilva A.S. (amministrazione straordinaria) allorquando l’indotto si ritrovò –dopo mesi, poi anni, di battaglie prima mediatiche e poi legali – con un monte crediti pari a circa 150milioni di euro non corrisposti, (e a tutt’oggi tali) poi confluiti nello stato passivo.

“Come si ricorderà – aggiunge la nota dell’associazione datoriale ionica – , le aziende continuarono a svolgere le loro attività all’interno della fabbrica (e, come oggi, si trattava di aziende di meccanica, chimica, servizi, edilizia, trasporti) pur in presenza di garanzie da parte dell’allora gestione commissariale. Oggi, stanno portando avanti tutte le commesse e prestando le loro competenze a fronte di una situazione di estrema incertezza, manifestatasi già nelle scorse settimane con i ritardi sui pagamenti loro dovuti. Ritardi ai quali, come è noto, è stato posto un argine dai referenti di Arcelor Mittal Italia solo a seguito del presidio permanente messo in atto dalle stesse aziende davanti alle portinerie dell’azienda.

Lavoratori allo stremo e imprese perplesse

Le notizie che si susseguono, rimbalzando dal tribunale di Milano ai tavoli politici romani, generano più confusione che tranquillità, e questa condizione certo non aiuta a chiarire il futuro di quello che rimane ad oggi un settore trainante dell’economia ionica, e non solo. Se da una parte Arcelor Mittal e Governo dichiarano di non voler lasciare il futuro del siderurgico nelle mani della magistratura, dall’altra il panorama è a dir poco contraddittorio.

ovvie, pertanto, le perplessità – e sono molteplici –che rendono fosche le prospettive di tutte le realtà imprenditoriali, grandi e piccole, che lavorano nell’indotto dell’acciaio. Nel corso della riunione tenutasi la scorsa settimana in Confindustria Taranto – presieduta dal Presidente Antonio Marinaro – sono stati presi in esame tutti i possibili scenari che si potranno delineare nella complessa vicenda.

Marinaro: “Le aziende locali non si sentono tutelate”

Certo è – questo il commento del Presidente di Confindustria Taranto – che le nostre aziende non si sentono tutelate, da qui ai prossimi mesi, riguardo la garanzia di poter vedere soddisfatti nella loro interezza i loro crediti nei tempi stabiliti. Non si tratta di una semplice percezione più o meno diffusa ma della constatazione di un clima tangibile di forte incertezza che sussiste da oramai troppo tempo circa la permanenza di Ami a Taranto e degli eventuali scenari alternativi futuri, nonché dall’assenza di segnali che, in questo senso, registriamo da parte del Governo.

Vanno bene – e lo dico a scanso di equivoci – gli interventi che da Palazzo Chigi e dai vari Ministeri si stanno mettendo in campo (il cosiddetto “Cantiere Taranto”) per la città, ma quello che vorremmo si palesasse è soprattutto la garanzia per queste aziende di poter continuare a lavorare per assicurare a loro stesse ed ai loro dipendenti un futuro”. Segnali, va sottolineato, che a tutt’oggi mancano sia da parte di Arcelor Mittal (che dopo le proteste dell’indotto continua ad assicurare i pagamenti ma in un regime di provvisorietà complessiva, inducendo le stesse aziende a contattare i referenti aziendali ogni qual volta si produce un ritardo o un pagamento parziale) sia da parte del Governo, impegnato a metter su un piano alternativo a quello prospettato da Ami. Le aziende dell’indotto, in sostanza, si stanno interrogando circa la loro permanenza all’interno dello stabilimento e i rischi a cui vanno incontro.

In assenza di garanzie certe sulla continuità dei crediti loro dovuti, le imprese dell’indotto potrebbero orientarsi verso un generale disimpegno dai rapporti contrattuali in essere. E’ una condizione estrema ma il rischio di incorrere in un’altra situazione analoga a quella del 2015 porterebbe per molte di loro alla chiusura, anche alla luce delle difficoltà, già in atto, che le stesse affrontano in ordine all’accesso al credito”.

Rinegoziare il piano industriale

La situazione diventa sempre più critica e parte da questa constatazione l’ulteriore appello al Governo, affinché coinvolga Confindustria – assieme a tutti gli altri attori territoriali – per poter essere parte attiva delle scelte che saranno adottate da qui in futuro: a questo proposito, Confindustria ha redatto un apposito documento – da portare all’attenzione del Governo – in cui illustra una serie di misure, riguardanti anche l’indotto, ritenute indispensabili per una corretta rinegoziazione del piano industriale.

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