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40 lavoratori di una impresa che opera nel settore delle pulizie industriali con commesse temporanee prevalentemente all’interno di ex ILVA e Raffineria, da ieri sono diventati lavoratori a tempo indeterminato.

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Una buona notizia che la CGIL di Taranto, assieme alla categoria di settore, ovvero la FILCAMS, accoglie come buon auspicio rispetto ad un percorso che però la stessa organizzazione sindacale pone sotto una grande lente di ingrandimento.

I 40 lavoratori stabilizzati ieri, infatti, appartengono ad una platea ben più ampia di 126 dipendenti in somministrazione con varie scadenze di contratto a termine.

«Per alcuni di loro la scadenza era quella dello scorso 31 dicembre – specifica Paola Fresi, segretaria della FILCAMS CGIL di Taranto – ma non sappiamo dire con certezza se tra quei lavoratori che ieri hanno firmato il contratto a tempo indeterminato ci siano esattamente quelli sul filo di lama di questa scadenza. Dunque la buona notizia resta ma poco limpido sembra il percorso che riguarderà sia questi lavoratori che gli 86 rimasti per ora nel limbo del lavoro in somministrazione. L’azienda infatti avrebbe proceduto alla stabilizzazione in cambio di un accordo di prossimità che proprio la CGIL avrebbe deciso di non firmare.»

«E’ uno degli effetti del Decreto Dignità che avevamo ampiamente preconizzato – sottolinea il segretario di NiDiL CGIL, Daniele Simon – perché quel Decreto nato con l’intenzione di cancellare la precarietà, di fatto ha rilanciato l’ipotesi di accordi di prossimità in materia di contratti a termine, destrutturando il valore della contrattazione collettiva e dello stesso Contratto Nazionale di Lavoro.»

«Quel contratto di prossimità firmato per i lavoratori di Taranto pur essendo uno strumento legittimo – dichiara la Fresi – ha di fatto barattato la presunta stabilità di 40 lavoratori, in cambio del perdurare della precarietà per altri 86 che potranno in virtù di quell’accordo di prossimità continuare ad essere lavoratori a termine fino alla scadenza di ben 42 mesi.»

«86 lavoratori, 5 dei quali nel luglio dello scorso anno finirono intossicati da emissioni di monossido di carbonio durante le pulizie in Acciaieria 1, e che ormai alla scadenza del loro contratto a termine speravano in un decisivo cambio di rotta delle loro esistenze – dice Simon – e che invece potranno per altri 42 mesi continuare a non ricevere straordinari, tredicesima, maggiorazioni per lavoro notturno o festivo e coprire turni di lavoro impossibili grazie allo strumento del MOG (monte orario garantito) con cui sono stati ingaggiati dalla loro agenzia di somministrazione, malgrado il MOG non sia applicabile per legge al contratto multiservizi. Ragioni che hanno spinto la CGIL a non firmare quell’accordo in nome del principio di giustizia e solidarietà sociale che da sempre è suo baluardo.»

«Ora si apre uno scenario nuovo su quel fronte – continua Paola Fresi – anche in virtù della condizione stessa degli appalti all’interno dell’ex ILVA, che entro il 31 marzo prossimo, potrebbero subire mutamenti dettati anche dall’accordo con i nuovi investitori di Arcelor Mittal. In questa fase, così come in quella delle verifiche trimestrali la CGIL non intende arretrare di un passo – dice la responsabile della FILCAMS – e per tale ragione valuteremo di volta in volta i destini degli 86 lavoratori in somministrazione, e quelli dei 40 a tempo indeterminato che assunti sotto il regime del job act a marzo 2019, inoltre, non avrebbero neanche maturato i requisiti necessari per il mantenimento del posto di lavoro

Sul tema interviene anche il segretario generale della CGIL di Taranto, Paolo Peluso, che aggiunge: «I 40 lavoratori stabilizzati restano tristemente sullo sfondo di questa vicenda che suona come un campanello d’allarme rispetto a tutto il sistema degli appalti in ILVA e non solo. Purtroppo la legge introdotta con il Decreto Dignità nasceva con l’intento di allontanare il più possibile dalla condizione di precarietà migliaia di lavoratori, che oggi invece a Taranto, come nel caso in questione, vengono trattati come merce di scambio e divisi tra di loro. Uno scenario a tinte fosche su cui intervengono anche con crudeltà i temi della sicurezza e su cui sarà necessario anche provare a responsabilizzare la grande industria

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