Nel XVI secolo le associazioni laicali sul territorio tarantino erano molte. Le prime confraternite avevano abiti con mantelline di colori sgargianti che ricalcavano quelle della tradizione Andalusa e Aragonese. Vederli per strada era un tripudio di colori.
Le Confraternite avevano anche scopi diversi, all’epoca si preoccupavano di assistere i malati, di portare il viatico ai moribondi, rifocillare i pellegrini, dare sostentamento ai poveri. A queste attività primarie si affiancavano poi quelle più strettamente religiose, come la partecipazione alle processioni e alle ricorrenze più solenni della chiesa. In particolare, proprio il giovedì Santo, erano “tutti” obbligati a visitare i sepolcri.
Ogni confraternita organizzava un suo pellegrinaggio, una sorta di piccola processione, aperta anche allora dal “troccolante”, cui seguivano le coppie di confratelli col cappuccio abbassato e la Croce dei misteri. Nella misteriosa eleganza dei loro abiti, con le mozzette dai diversi colori, a passo lento – ma senza la “nazzicata” – percorrevano la città Vecchia, visitando tutte le chiese, che allora erano numerosissime e tutte aperte al culto.
Il cambiamento si ebbe tra la fine del 600 e gli inizi del 700, quando la famiglia Calò, giunta a Taranto nel 1580 – ascritta alla nobiltà generosa tarantina – decise, nella figura del suo capostipite Don Diego Calò, di dare vita alla prima Processione, mediante l’uscita dalla cappella gentilizia del loro palazzo, ubicato in prossimità della Strada Maggiore (l’odierna Via Duomo), delle statue del Cristo morto e dell’Addolorata (statue che oggi si possono osservare nella Chiesa di Sant’Agostino, posizionate sul primo altare laterale destro, chiamato “ Altare Calò ”).
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